Ilario Dalvit accetta la sfida tra gli opposti e sapendo, per esperienza professionale (ha costruito stufe ad ole per una vita) che il calore va verso l’alto, ma che tu puoi frenarlo e trattenerlo, costringendolo amorevolmente al percorso che tu gli chiedi … anche con la sua arte piega un certo messaggio, una certa sensazione in altra direzione, fino anche a capovolgere le cose.
Così un tronco che si divarica versa l’alto, rovesciato, può alludere alle gambe di una figura umana che si innalza, percorso dal fuoco del sangue della vita.
O le croci di un cimitero esaltano l’opposto: la tenerezza dell’abbraccio della nonna per la sua nipotina.
Dei “tragitti trasversali” taglienti come una pioggia battente di lato trovano solida stabile soluzione dentro un quadrato.
Un fascio di luce diagonale che conduce ad una porta trova sul suo percorso impresse figurine umane anche capovolte, alcune del tutto ignare che le attenda la domanda del dove si è diretti.
In “Presenze 1, 2, 3” forme vagamente vegetali affermano il valore del verticale,
il valore di giocare di riflesso e tentare esilissimi fili di qualcosa che potrebbe essere vita,
la necessità di trovare un equilibrio come in una piazza o una architettura sull’ascissa e l’ordinata di uno spazio.
E un potente precisissimo vortice di cifre, metafora possibile del tempo, ti chiede in fondo all’imbuto: ma non lo avevi sempre saputo che il fumo sfuma fino a farti nessuno?
Così si spiega perché questa mini personale di Ilario Dalvit, con dieci opere, sia ospitata nella stanza numero sei, quella del desiderio e del distacco, nell’ambito della mostra “Le Sette Stanze” alla Casa della Pittura Fonetica a Rovereto.
La sintesi di desiderio e distacco è data magistralmente dalla stampa di due sfere una rossa, una celeste, affiancate, attraversate entrambe in diagonale da una regolare sfumatura in modo da formare un triangolo che le armonizza in unità. Come dire: ci vuole uno e l’altro per ottenere un risultato maturo, saporito, definito nella realtà.
E il tutto va stampato. Ripetuto. Tutto è memoria. E acquista valore nel continuo ritorno.