TU SEI TUTTO, FINO AL SETTIMO CIELO
Introduzione (sette strofe (ogni strofa sette versi(ogni verso sette accenti)))
…
“tu
sei tutto, fino al settimo cielo” è l’inizio e la fine del mio
libro,
che
ci farà liberi, perché ognuno troverà in esso il suo posto.
Sarà
un viaggio a spirale,
oscillante tra una cosa e il suo opposto,
ma
è meravigliosa questa ascesa in cui sai dove vai e c’è sempre
una
sorpresa, perché sei aperto, aperta, e io Alberto e tu scoperta.
Io
un artista e tu la più veloce, la più bella sulla pista. Era mia
figlia
e
come una foglia è cresciuta da me che sono albero Alberto.
Ma
certo ho anche un figlio e il mio consiglio è di lasciarli andare,
dopo averli curati in tutti i possibili particolari prima di
salpare,
come una nave in mare. Ma è mio figlio, sì, ma è un
foglio
che deve essere scritto e poi volare finché verrà letto.
E non temere il mare o il cielo. E’ vero, i tuoi fogli
diventeranno
un libro. La vita.
E sarà tua e di tutti. Con i sette principi di Deepak
ed i sette
fiori di vita in ascesa nel Sahaja Yoga di Nirmala
Fermati,
dove stai vorticando? Spirale che sale.
Sì, mi fermo e sono
eterno: nell’immobilità l’eternità,
la realtà concentrata in
una goccia, un inizio,
e il fluire dello stessa realtà, non solo
metà, nella storia.
Ma il primo concetto da tener stretto
stretto
è che storia e eternità sono la stessa cosa
Vortice,
perciò cerchio, con un centro, perciò uno.
L’albero
è un vortice,
guarda la chioma,
i rami braccia, orizzontali, ali: Ma guarda
anche come
l’apparato radicale è simmetrico, specchio alla
chioma.
Seme, chioma. E questo chiama il verticale che sale
e
l’altra immagine oltre il seme, la noce, il nucleo
l’uovo, la
testa, la sfera, la terra, e dentro il cervello.
L’universo che
si versa nell’uno, quanto è bello.
L’universo, tu, uno,
nessuno, poi due, ed i multipli.
Non fermarti: la spirale che
sale è fiore e i petali molti.
E il fiore sei tu. Anche il
cuore,
in un libro di anatomia,
non è fantasia, è un vortice. E i
petali palpiti.
Se torni da capo, passo per passo ti accorgi che
tutto è vero.
E dove ti aggrappi ruotando, danzando?
Agli
altri. Ma il perno sei tu, perciò tutto. Unito al tutto.
Dite
a tutti che io sono felice, non fingo, non sospiro, respiro.
Non
ho paura di niente, mi fido dell’ascolto dei palpiti del cuore.
Mi
conduce la luce: dal caldo al calmo, al pieno dell’arcobaleno.
Non
sono un incosciente, ma credo che vuoto e niente sono attesa.
La
coscienza
è il mio filo d’erba. E’ una corda per acrobati la leggerezza
con
cui mi infilo al tutto. Voglio il seme, il fiore, l’albero e il
frutto.
Il
mio inizio e la mia fine è il flusso, l’essere, il divenire, il
centro e la ruota.
Nel
mezzo del cammin di nostra vita io mi trovai in una selva oscura,
che
la diritta via era smarrita. Ma adesso dimostrerò, con l’aiuto
altrui,
che tutto è facile, armonioso e bello: basta seguire
natura.
Il
segreto è quello. Inferno e purgatorio sono umano immaginario.
Dante
è bene ringraziarlo, comunque, per il tre che è divino,
divino
fino al sette,
dove Cenerentola dalla pentola, la cenere, le ciabatte
diventa la
più bella. Quella scarpa è barca. La spirale della storia lo
ammette.
PRIMO
CANTO
dall’uno
al sette le ruote di vita nel nostro corpo si avvitano
le guidano
i sette principi con corrispondenze perfette, logiche,
salendo
corrispondono ai giorni della settimana con gli dei
annidati a spiegarli nei pianeti
uno, la coda (21 strofe= 7×3)
Uno è
uno, e nessuno è solo, se è uno con l’universo. Questo
è il
primo e ultimo principio, quello dell’unità, della felicità.
Qui
c’è l’anello tra tempo e eternità, passato e futuro. Qui sta
che
tempo e spazio sia qui ed ora, qui ti chiama chi ti ama:
il
Buddha, Gesù, il Profeta e gli altri saggi. I raggi del sole.
Rosso
come il centro della terra, sotto il tuo osso sacro. La coda
dalle
tre spire e mezzo. La maniglia, che tu la, le faccia ripartire in su.
La
meraviglia. Dall’alto, dalla nascita, ti è stata depositata laggiù
la madre:
la Kundalini, la tua natura, sole che devi risvegliare e
far salire dalle tre spire
alla sommità della testa. Dove solo
ti resta di aprirti gioiosamente al tutto
nel fiore di loto, nel
sabato del sette. Questo è quello che deve
venir fuori dal tuo
Sonntag, Sunday. E il vortice che risucchia su tutto è il cuore.
La
tua coscienza è lo strumento, ed è tutto dentro te. Azione da
meditazione.
Tutto l’universo aspetta che tu ti avviti in questo
verso. Perché è la vita.
L’uno è
il naso, l’olfatto, verticale, dal gusto e poi la vista, sfocia al
tatto.
Da sotto spinge al quattro, la carezza, il cuore. Poi
l’imbuto è per l’udito,
per il pensiero, il sesto senso. E lo
sbocco è in apertura. Ma la tensione è al sette,
oltre le
tette, gli occhi, i lobi del cervello. E’ così bello che l’uno
assomigli al sette
e che spinga in alto. I sensi, i chakra,
l’arcobaleno, le note, la settimana, gli elementi:
fuoco, acqua,
terra, aria, etere, pensiero, spirito.
Io esisto, io sento, io
posso, io amo, comunico, comprendo, io sono
I sensi
sono sette, cinque per sentire, il sesto per intuire,
il sette è
già oltre. Sento nel ritmo del sette che parto lento,
poi
accelero, appena ti penso, come fa il cuore che batte,
poi mi
calmo sul palmo della tua mano e siamo in due.
Da qui si avvita la
colonna della spirale, ed è uomo e donna, sale.
Vale per la
materia e l’energia, scienze, misticismo e filosofia.
La legge è
reale quando spiega l’universale, il flusso e il tutto.
Al
naso di Dante io mi inchino e al suo senso divino, non al caso,
di
aver scelto il tre, che io confermo in: io, te e gli altri,
nella
danza degli opposti. L’inferno eterno invece per noi oggi
è solo
inverno e il purgatorio solo il senso rotatorio della realtà.
Portano, si sa, al sorriso del paradiso sul tuo viso nel cuore
alla coscienza.
Accetto anche la terra e la montagna di Dante e le
sfere celesti
ma chiedo a te cosa diresti, se tutto non fosse che
il nostro corpo?
E’
semplice come dall’uno si arrivi al sette con connessioni strette.
Nel profondo i 7 principi di Deepak corrispondono anche in
ordine
ai chakra nel corpo dove mi sprofondo nel Sahaja Yoga di
Nirmala.
Riemergono nella settimana dai tempi dei Caldei, con gli
dei e atteggiamenti,
pianeti nello spazio e giorni nel tempo,
nello stesso ordine delle note
della musica, unica prova che sono
figlio di dio, della luce, Gesù sei tu,
nei colori
dell’arcobaleno: da coda, colonna, cranio: disegno di unità pieno.
I
sette principi danzano con le sette principesse fin sull’orlo al
precipizio
come se loro fossero leonesse. Ma loro sono princìpi
fin dall’inizio,
le altre sono le ruote dei fiori fino alla fine,
che è l’eterno inizio.
Gli uni per il pensiero e la coscienza,
le altre per il corpo e l’esistenza.
Ed il sette è sete
d’infinito, sintesi, fusione, la rivelazione.
Il sette è saggio,
è raggio che sembra lento, essendo a spirale,
ma tutto è
vibrazione. Sole, energia, amore così funzionano.
L’uno è
l’unità, il tutto, la felicità. Il due sei tu, l’incontro.
Il
tre è la ruota, il farsene carico, la responsabilità, la lotta.
Il
quattro è la casa, l’angolo, l’angelo, il conforto, il prendere
fiato.
Il cinque è il desiderio del viaggio, la direzione, il
comando, la rotta.
Il sei sei ancora tu nello splendore del raggio
della scelta.
Il sette è il tutto, tu, la sintesi infinita,
l’eleganza della danza.
L’esito è la creazione continua, il miele
che cola, l’amore e la gioia
Quanto
sopra è vero, dice Deepak Chopra, che ha raccolto nel primo
principio
la saggezza dei Veda perché la creazione è continua e
tutto ci è possibile,
se la nostra coscienza, con l’innocenza di
un bambino, tocca la Coscienza
Universale, con lei si fonde e
crea, perché è flusso continuo di realizzazione.
Tu lanci un
desiderio che si conficca nel silenzio apparente che ti
chiama
diventa sinfonia attorno a quella nota, scia alla tua barca
e davanti
onda che si apre. Tutto ti ascolta e ti accoglie e la
risposta arriva.
Ma tutto è dentro te. E’ nella meditazione
la meta iniziale, poi la vedrai
operare nei fatti concreti. Tutta
la realtà si piegherà ai tuoi piedi
e tu sei dio e dea, basta
che non cerchi il potere al tuo esterno
dove regna invece
l’inferno della paura di perdere potere, reputazione,
proprietà,
dove impera l’ossessione del comando e del controllo.
Inutilmente
perché tutto sfuma, si affloscia in morte e corruzione.
Solo la
coscienza, la bellezza, la verità, l’amore, il bene è
immortale.
E’ sotto la corteccia della natura, nel silenzio
del cervello, nel quanto è bello
il battito del cuore,
nell’istinto profondo cui ti devi abbandonare con la fiducia,
la
generosità animale e vegetale di non correre a giudicare. Libro del
tuo sapere
sia il tuo respiro, l’innocenza interiore, fede,
speranza e amore.
Diffida delle dottrine della corruzione, della
religione che lega, di chi spiega
i pericoli e promette protezione
da inganno, affanno, danno. Sono loro. Tu sei invincibile.
L’unico
potere e gioia è al tuo interno. E’ la coscienza, tutto il resto
puoi farne senza.
Io l’uno
il fusto, tu il due la foglia, tre il tenerti con la voglia,
quattro
nel piacere di un’altra foglia, cinque ci si avvolge in
desiderio
stretto. Sei già in vortice di opposti che, se lo
accetti, sali
al sette, sotto il sole, nel cuore al fiore dalle
mille ali.
Dalla foglia al cielo capisci che è vero, ti conduco
al centro dove
l’albero della vita è il perno della tua coscienza
nel giardino dell’esperienza,
stantuffo tra la terra e il cielo. E
la legge del dono si avvinghia al tronco.
Io sono
Adamo e dove la coscienza mi conduce e tu sei Eva
il pomo, il
serpente e la luce, la dea che sapeva che tutto è dono.
Adesso
ti porto in quel porto intimo, segreto, nascosto dove
l’incontro
di un uomo e una donna è scambio di doni, in quella baia
dove un
cucciolo abbaia alla luna, chiama il sole perché è lì
che
accovacciato al tepore mi vuole la lupa della vita, mia madre.
Dove il tronco non è monco, il morso non è rimorso, il frutto è tutto.
Tu sei uno
e ti alzi all’uno, l’universo, che si versa tutto in te,
se il
contatto diretto col tutto è aperto al tuo interno.
Dentro al
centro della ruota la coscienza nuota nella meditazione
senza la
quale sei niente o sei tutto in ogni tua azione.
E tutto è
possibile nel contatto. Questo è il primo principio dell’unità
ed
è assoluta felicità, è l’essere e il divenire. E’ nel fluire fin
lì
dentro al centro di tutto. Ci arrivi con la mente, ma batte
nel cuore.
Tu sei tutto fino al settimo cielo vuol dire che è
letteralmente vero
che tu sia in contatto diretto col tutto se
togli il tappo, il topo morto
della condizione umana che tutto
intoppa, con la mancanza di fede,
di speranza e amore E per tutte
le teorie sul potere, la paura, l’impossibilità…
Sarà la
meditazione e il sintonizzarsi su tutta la vita che la farà
finita
col blocco, aprirà il flusso, la spirale, l’erotismo
universale, l’ascesa.
E tutto questo avviene nel tuo corpo, che è
ponte, è orizzonte all’anima.
L’unico
islamico che io rispetto e riconosco come fratello è il mistico
sufi.
L’unico capitale, la coscienza, in libero mercato, non il
fanatismo del profitto.
Il fanatismo ha l’apparente forza di
portare la polvere del deserto alle stelle.
Gesù sei tu, se
accetti d’essere seme, di andare oltre la morte, tu immortale.
La
croce o la mezza luna imperiale è il male. Il dentro che è andato
fuori,
vuol comandare la realtà con paura e potere dall’esterno.
Questo è l’inferno,
la felicità è per chi sta al centro della
ruota, del flusso del tutto, la coscienza.
Sopra
l’osso coda la tua divinità avvolta tre volte dormiente
sotto
il tuo sesso attende che adesso la tua coscienza, sapendolo, la
scuota,
la
chiami a salire per scalini fino alle fontanelle in mezzo ai tuoi
capelli
e
così nel mezzo del giardino sia tu l’albero della conoscenza, della
differenza
tra
bene e male, tu abbia la libertà, la responsabilità creatrice del
giardino
del
corpo. Ti lasci tentare dal serpente che abbandona la terra. Sei
tu
il
desiderio che sale a spirale a provare a portare il frutto alla
bocca.
Adesso
tocca a te capire di lasciarti andare alla iniziazione.
E’
la direzione che Eva, la vita, dà ad Adamo nel pomo
da
mordere e che il serpente niente è, se non la molla, la
coscienza
individuale
tua che si avvolge al tronco che capisci resta monco
se
non unisce la terra al cielo, se non è dono da mordere e dare,
nel
frutto che non è tutto, se non da mangiare morso, sorso da bere
e
la divinità sta nell’accogliere la sfida, non nel timore, nel
rimorso, nel rimanere.
Mordere il
frutto è il nostro destino divino, l’esatto contrario
della
storia di chi la racconta al rovescio con rimorso, castigo,
punizione,
colpa, ricatto del peccato, che è solo: che peccato
non averlo fatto!
La gioia, il ritorno all’Eden, della felicità
qui e adesso, offre
una carezza alla tua pelle, la religione una
corazza. Divide il corpo dall’anima,
il prima dal dopo, il qui
dall’ altrove, ammazza e rimpiazza la tua coscienza.
La natura
invece è fiume che non finisce, galassia che non ti lascia, verde
che non si perde.
La natura dura perché è sicura di sé, non
si cura d’altro se non
di aver premura, è madre la natura e
misura la sua natura nel nascere e far nascere,
nella limatura
delle angosce, nella sfumatura della paura, nella lotta dura alla
tortura
dell’anima insicura che si procura nuova paura dietro una
sepoltura
di mura. Lei non ottura, stura, assicura la
primogenitura al fiore,
l’andatura al puledro, l’apertura alla
pianura, la fioritura al tutto, nella centratura
al cerchio. Si
nota che la natura è ruota, nel flusso nuota, noi nous wir we mi
nosotros.
Noi siamo cicogne col nido in cima al comignolo
lassù in alto.
L’acqua, la terra, la pianura, l’orizzonte li
conosciamo, la coscienza sei tu.
Il corpo è una freccia acuminata
nel volo, potenti le ali, lunghe
le gambe, il collo, il becco, il
viaggio migratorio, il desiderio. La visione
d’insieme che guida
tutto il fenomeno dalla punta del becco alle zampe,
uno ed
entrambe, è il rosso come l’estremità dell’arcobaleno
dal centro
della terra al tramonto del sole. Noi siamo cicogne.
SECONDO CANTO
se la
domenica è il giorno del sole, perciò centro di gravitazione,
elemento terra
Il due è acqua che fa crescere, col fuoco dal
cielo, l’albero donna
nella danza del ventre, la curva che dona,
nel quarto elemento, l’aria
due, sotto l’ombelico (21 strofe= 7×3)
l’uno era uno, ma non sapeva di sé,
era nessuno, non si riconosceva.
Poi è venuto il due, tu,
l’onda, il respiro, la culla, l’incontro.
E mentre ti vedo e ti
tocco, ecco, capisco chi sono.
Il mio occhio, lo specchio, si
risveglia nei tuoi occhi e sorride.
Che bello capire che quello
che capita a me è lo stesso per te.
Adesso ognuno, nel due,
capisce se stesso, siamo specchio.
L’onda definisce l’unità e la
dualità delle cose, il flusso e il tutto
il due sei tu ed è nudo, perché
unico scudo è lo specchio.
In te vedo me e questa simmetria è
l’anima mia.
Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a
te,
non è solo specchio. E’ la migliore difesa lo scudo di essere
nudo.
E mentre ciascuno si allena a vedere sé nell’altro,
superi
l’ego e scivoli nell’anima che è la tua vera identità,
quella
che sa tutto di te, perché è l’anima tua e del mondo
così il due è la luna, lunedì, sei
tu, la mia fortuna,
che rifletti il sole, sei specchio al giorno,
già di ritorno.
L’acqua che muove le maree, che ritma le semine.
Dal dispari al pari,
partorisce la molteplicità, la discendenza.
Senza due non c’è niente.
E’ linfa, foglia, frutto, è tutto lo
scorrere della vita, è Eva,
epifania, fantasia, Shakti, energia,
Marta e Maria, Maddalena,
la seconda ruota salendo la schiena,
l’onda, la sponda, il dono
tra questi due si incardina la ruota
del tre. Tra me e te, sarà il sé,
ci lega alla vita. E’ metro e
misura di tutto la reciprocità,
cioè il dono, che è scritto
nell’onda della consonante di donna e Mann, uomo,
nella rotondità
della vocale che rotola e si apre e vale la ruota.
Questa è
l’acqua, il flusso, il fiume, il torrente, la sorgente e la foce
il
mulino, la ruota ed il ciclo dell’H2O. Se ascolti quell’acqua, è una
voce.
La fonetica è già diventata immagine.
Ed immagina cosa accadrà
Shiva e Shakti, yinyang, coscienza e
vita, parola e immagine.
Cinema, fumetto, pittura fonetica. Dove
lo metto che prima c’era la parola
ed era sola e si è fatta vita,
fantasia, energia, donna, dono che scorre,
capelli nel vento. E
non avere spavento della donna o l’uomo in ciascuno
di noi. Siamo
immagine di tutto, specchio di tutto, tutto è possibile.
E tutto
è facile, se metti te al centro, come punto d’appoggio, ad un
universo
d’amore. Abbandonati al dono e sei perno, sei eterno,
sei vita infinita
io sono sempre nella linfa del
fiore, fino al frutto, sono acqua
o nella spinta alla carezza al tuo corpo, sono onda, cerca la sua sponda,
o nel ciclo dell’acqua sul pianeta, la mia meta è la tenerezza del ritorno,
o nel seguito delle idee che si agganciano mentre lascio che cinguettino ed osservo
o nella rincorsa del piacere piccolo, quotidiano. Vedo che la vita è movimento
e la coscienza è esserne specchio. E
mi accorgo che allora mi chiedo dove vado
e vedo che tutto è
flusso, come i tuoi capelli, e quanto siano belli è dono
il dono chiama il due e come tutte le cose siano mie e tue.
Due come le gambe, complementari, una avanti l’altra dietro.
Simmetriche. Se guardi me, capisce te, vedi in me le tue virtù e difetti.
Chi da, riceve. A chi bussa, sarà aperto e aprirà se stesso.
Ma adesso, fatto sesso, che più piacere hai tu, più ne ho io,
siamo alla pancia, alla bilancia del rispetto del reciproco,
alla tavola rotonda, al condividere cibo e il senso del gusto
il due è curva nel disegno della cifra
attorno all’ombelico.
Vedo e non vedo dietro al velo della danza
del ventre e mentre
sogno che tolgo la foglia di fico di un
vestito che non c’è,
celebro la divinità della dea. Mi pulsa nel
cuore e la mente l’idea
del due, come le braccia in alto, le dita
che si sfiorano, le anche
che schiumeggiano nella danza di Venere
viene, Afrodite si strofina
leggiadra la schiuma della risacca: io
sono di chiunque mi tocca
e non sono una ladra di piacere.
Non solo vedere, devi bere, tacere,
godere ed ascoltare il corpo e
ringraziare la vita infinita della dea
che si dimena per te, è
dentro te, è la fiamma, è la curva, è la mamma.
Il due sei tu e
lei, yin e yang, il bang in cui l’uno è esploso nel tutto.
In testa e sul fianco resta che ti
manco. Il due è dono e io sono
dalla punta dei piedi alla punta
delle dita danza, la carezza dell’uguaglianza
Il tre è abbandono all’avvitarsi della vita. Ringrazia e inizia a ballare
kundalini in sanscrito è curva. Nella
mia cultura è l’anima. Loro
la chiamano madre. Gesù la
chiamava, mamma e papà (è lo stesso
concetto in aramaico). Sia
fatta la tua volontà, non la mia.
Quando Gesù diceva: Abba,
come babbo, si avvitava alla vita, faceva
l’unica cosa che ha
senso, fare il passo dall’io a quel dio che è l’anima:
il
respiro, lo spirito, il fiato, l’alito, il fiore, l’amore, cioè
tutto.
Nella radice delle parole andiamo lontano, ci accorgiamo
chi siamo
Eva
era il ventre e la vita era vento e mentre
soffiava
sembrava vuoto, ma in Eva il soffio diventava pieno.
Eva
creava Adamo, col dono del pomo, ringraziava l’uomo
nella
danza del ventre. Il serpente, la mente, è il maestro di danza. Si
alza,
è
la spirale che sale da sotto in su, l’evoluzione, la rivelazione del
sé.
Guarda
come è bello nella danza del ventre sgusciare dal velo al
cielo,
alzarsi
in volo. E’ il tentativo dell’albero e rimanere ancorato alla terra
così
la danza del ventre viene da sotto, brucia nella linfa del corpo
ma
è fiamma che si alza, si contorce, avvolge e spinge in su l’anima.
Io
con gli occhi e tu mi tocchi. Ma importante è quante
volte
ti volterai a guardarmi, a dirmi nel segreto della mente: amore.
E
allora io sentirò un fremito, una frenesia, una farfalla,
un
universo che frulla, un frastuono, un tuono che urla: voglio
quell’uomo
e
io capirò, nel silenzio che scenderà tra di noi, che questo è un
inizio
fiore
e albero si assomigliano, palpitano nei petali e le foglie,
respirano,
dondolano nel vento, nel sentimento orizzontale. Hanno
come ali.
Succhiano dall’umidità della terra freschezza, dal
cielo tepore e carezza,
come il raggio di sole allo zenit, sono
verticali all’asse della terra.
Se adesso uno pensasse alla
schiena di cavalla, dalla coda alla criniera,
o alla posizione
eretta della marmotta di sentinella, capirebbe quanto è bella
la
vita, se guardandosi attorno continuamente trova se stesso, se stessa
e
sarebbe un precipizio non seguire l’indizio, non seguire l’istinto e
l’intuito,
e
di non farlo subito di chiamarti per nome, amore, e tuffarci nel
mare
nudi. Perché è la pelle la nostra salute, la nostra psiche,
l’accoglienza:
nudi si nasce, si muore, si fa l’amore, si disarma
il nemico, si risorge.
Il vestito fa la finzione, la funzione
sociale, il potere, la paura, la prigione.
E’ strumento di
oppressione, illusione di difesa esteriore. Invincibile è il
cuore,
l’anima, la pelle, la vita. Libertà, lotta e vittoria sono
fatto interiore
dritto
come un chiodo, sodo come un tronco di cedro
inchiodo
il cielo alla terra con un raggio di sole dall’alto dell’azzurro
che
nessuno pensi non si appartengano. Sono la mia anima e il mio
corpo.
Siamo
un tutt’uno dice il tre all’uno e al due, a me e a te
e
se siamo onda, io e te, vibrazione, battito, respiro,
non
ti prendo in giro, mi butto nel vortice e mi fondo e affondo nella
gioia.
Il
due ingoia l’uno, ma lo rimbalza, lo raddoppia, siamo una coppia
è il maschilismo mediterraneo che
l’ha fatto diventare Abba, padre,
ha dimenticato la madre, Eva, la
vita, la pelle, la gratuità, il dono
ha dimenticato la ruota, il
flusso, lo scambio, l’orizzontalità, l’onda
la simmetria,
l’armonia, la danza, la musica, il ritorno, l’uguaglianza
e
l’universo si versa, se tu dai, riceverai, tutto è scambio, bussate
e vi sarà aperto
e l’ago della bilancia di questa vibrazione,
scambio di doni o maledizioni,
sei tu, la coscienza. È vero per
ciascuno che siamo uno con l’universo
al suo centro. Dove fa perno la
leva che solleva il mondo. Dentro tutto.
La leva, la fionda è la
coppia: vale per ogni rapporto, si raddoppia.
Siamo stella, tela,
fiore, ragnatela, sistema solare, galassia.
Sono due le labbra di
Lisa, sono mille i petali di Rosa. Voi chiedete
il senso della
cosa. Cosa dico, vi risponderò con l’ombelico:
che ho il dito nel miele infinito del
piacere che sale, che vale
pace, amore, gioia universale. Sono
qui ed ovunque. Tutto è possibile
davanti alle ginocchia tue aperte, l’immagine della goccia di miele
che sta per cadere, eppure ti aspetta, che tu entri dalla porta stretta
ed incontri la luce, disseti la sete, trovi il piacere di avere
in un abbraccio solo verità, rinascita, comprensione, libertà, amore,
l’intuizione in meditazione e la conferma nelle cose, che se c’è senso, tutto ha senso.
E allora entriamo dentro le cose. E se qualcosa è ancora proibito,
gentilmente col dito disegniamo sulla pelle a chi lo dice, perché?
dove io e tutto è amore. Gli alberi
sono luce, le donne dono,
io chi sono? Dalla pianta dei piedi,
dalle dita le radici, dalla spinta
delle mani i rami, dal tronco
che è monco se io non ti amo e tu
non mi ami: il desiderio del
vortice fino alla chioma che chiama l’universo
dove chi ama morde il pomo dell’eden. E
la festa, dentro
e oltre la testa e per tutta la canna a spirale
che sale, è la felicità.
Non sono un mistico, non un matematico,
solo mastico e conto ogni cosa che incontro
io sono il pozzo è un pezzo che ti aspetto. Vieni ad attingere acqua
l’acqua è vita. Falla finita di dare
la colpa agli altri.
La polpa di ogni frutto si gonfia di me-te
l’acqua. Sono
panta rei, sono colui-colei che sono, sono bella
come una bolla
Il vortice dentro me dice: gira finché
dentro lei trovi chi sei
e il verso dell’universo, l’uno, vieni.
Mi ero scordato che dentro me
trovavo te, in mezzo al prato,
seduta e sorridente e il male non può farmi niente
se il due
è fare l’amore, le responsabilità sono mie e tue.
Se il due è
specchio, l’occhio è magia: io tuo, tu mia.
E fare l’amore è
atto creatore, oggetto e soggetto, perdersi e trovare il cuore.
Se
sei vita, sei infinita. Mi ricordi l’uno. E io non ho dubbi:
la
verità nuda senza veli è nell’alto dei cieli,
oltre le natiche,
oltre le tette, la felicità è al sette.
Se il due è dono, tu
donna io uomo, entrambi siamo dono
TERZO CANTO
il
tre è oltre me e te, è già gli altri. E’ la responsabilità
per
una legge che sorregge tutto. E’ la tensione per l’armonia e che ogni
cosa sia
al suo posto. E’ la lotta sotto al cuore per ciò che è
giusto
tre,
il diaframma (21
strofe= 16 + strofa tripla e strofa doppia)
svelta
la scelta nel tre, l’impegno per difendere il due, il dono.
Io
sono Marte, la guerra dentro, tra l’assimilazione e lo scarto.
Martedì.
Tra l’ossigenazione e il rifiuto, la fiamma di servizio
al diaframma, la trasformazione.
Io vedo il nemico quando mescolo
l’ombelico. Sono vigile, vaglio e battaglio.
Dopo l’olfatto ed il
gusto per la sopravvivenza, in attesa del tatto nel cuore, sono la
vista.
Alla luce del sole il mio colore è il giallo, è bello,
spada splendente.
Preparo il verde, il riposo, nel cuore, prima di
ripartire per il desiderio d’azzurro
questa è la lotta, la
jihad, Ma la guerra sulla terra è interiore.
E’ dentro al cuore,
resta nella coscienza della testa, nel pozzo dell’occhio.
Gira la
carrucola, la ruota, per portare alla luce l’acqua in cui ti
specchi
e capisci lotta, luce, lo forza della goccia, grano,
accumulo.
A dissetare, sfamare l’altro e tutti e il deserto
diventa oasi.
Gira la ruota della carriola e la parola che ti
porto è la rivelazione
che tu sei il centro della creazione
continua, se ogni azione tua è causa
ogni azione è causa di
un effetto. E tu sei una frenesia di azioni. Allora
calma, io sarò
palma, il cui effetto è il dattero buono. Io sono creatore.
Ogni
mia azione, ci penso prima, sarà un dono d’amore.
Questa è la
lotta, di cui io sono il guerriero vero, dio creatore.
Il mio
motore è un diesel, ditelo a tutti, datteri i miei frutti.
Nessuna
mia azione sarà reazione, decisa dagli altri. Io sarò
sempre
causa, dopo pausa di scelta, del bene mio e di tutti
mentre io
mi innalzo, è venuto il tempo del balzo dell’umanità.
La mia
realizzazione personale è viva nella crescita collettiva.
E’ una
danza l’esistenza e una musica, di cui non si può fare senza.
Unica
via alla felicità, che dicevano difficile, ma è facile.
E’ il
potere che, per opprimerci, esalta fatica, dovere, croce e
sofferenza.
La croce per noi sono i raggi della ruota, la
sofferenza, un soffice passaggio,
sublime all’essenza delle cose:
la felicità, la gioia, bellezza, grazia
ringrazio la Cina per
Mao, il secolo scorso, da sempre del Tao.
La disprezzo per quello
che ha fatto al Tibet e al dissenso interno, l’inferno.
La
ringrazio per lo yin e yang che unisce la tenerezza al big bang.
Non
accetto il segreto di stato sulla pandemia, l’ossessione dell’ego,
pura follia, in contraddizione con l’universalità del Tao e la
saggezza antica.
Dico al cinese e ad ogni paese, se vogliamo
salvarci, il segreto
è camminare sul ciglio al precipizio, di
andare in avanti, tornando all’inizio
nel fitto della
battaglia per il bene ed il pane, la scimitarra mia sarà un
mulinello.
Quello dentro me è il nemico, il falso amico che
lusinga che la colpa è degli altri.
La depressione dell’ego, la
paura, la stura delle lamentele è fiele alla mia forza.
La mia
lama lucente, tagliente, a decidere, sarà il coraggio del raggio di
sole.
La forza dei fiori, dei fili d’erba, le orbite delle
galassie a sorreggermi.
Il mio fendente scenderà dallo zenit
verticale come la via di mezzo,
a svegliarmi la vittoria
depositata nelle tre spire sotto la coda e io goda
Cile
Canada, Africa Australia, Europa Italia vi amo
Cina India, ma
prima ricorda la ruota che gira, il serpente.
Il potere è
circolare, rivoluzione culturale, sempre.
Tibet, Tienanmen, Hong
Kong. Gira finché al centro lasci
Yin Yang democrazia. Non ti
nasconde il tatuaggio dell’appartenenza,
non il raggio di sole,
non la foglia. Ti resta la voglia
di origine e luce. Devi andare
dove Shiva e Shakti conduce
nel cuore alla violenza, a
sfidarla, facendone senza. Devi essere nuda
in tutte le piazze
dove impazzisce la domanda di pace e di pane.
Strappare da una
immagine tutta la poesia che viene, non lasciarla imprigionata
che
la pornografia dell’occhio del pidocchio soffochi la geografia
dell’anima,
il raggio, il sole saggio che si leva. L’inferno, che
dicevano fuoco,
per via che divora chi lo adora, era un blocco di
ghiaccio.
Ora la verità lo ha sbloccato, fiamma lei stessa,
primavera
George Floyd è il raggio della ruota. Dal ginocchio
sul collo al negro
si articola, come un sole che sorge, il gomito
che spingerà fuori gioco
il biondo razzista imbroglione e pulirà
la polizia dalla facile violenza.
Il ginocchio sarà per la
preghiera, il gomito leva, perno alla giustizia.
Caviglie,
ginocchio, polsi, gomito, collo, articolazioni dal sole
del cuore,
dove l’amore è lo spirito al centro della ragnatela, la tela
che
si apre alle stelle, all’universo, al tutto, all’oro così bello del
giallo
perché la zeta è la mia meta. Perché è la zappa da
cui non si scappa.
Devi metterti in fondo per vedere tutto il
tondo. Guardare le cose da sotto in su,
ti fa capire di più.
Rovesciare i potenti ed esaltare gli umili, diceva
la vergine
Maria e così sia. Sembra ci voglia un grande coraggio ad accettare
la ruota che gira. Ma in fondo basta un po di umiltà. Lì sta
il
segreto: stare al centro della propria coscienza e non farne mai
senza.
Ringraziare che il raggio giri, tutt’al più sospiri. Pensa
a chi è sotto
mia nella simmetria e la luce. A te mi conduce
la treccia e la freccia
del desiderio. Uno sale, l’altra scende.
Ed è avvitandosi che si comprende
la legge che ti protegge.
Perché è sintesi, non sono schegge. E’ sole
e vuole l’eterno
perno dell’armonia, che io sia tuo e tu sia mia,
nella sfera vera
cui ogni curva si avvita a vita infinita.
E tutto si affonda
nell’onda di essere e divenire, nell’abbraccio all’amore.
Eccoci
al fondo, al centro del mondo, dove tutto è vivo, perché è uno
l’uno
è il punto di partenza, il centro della terra, E’ la domenica dove,
nell’uno,
domino e dormo. Nel due mi sveglio e sono luna che mi chiama
al
giro. Sono acqua che scorre. Vita che inizia. Dare e ricevere,
scambio,
dono, donna, incontro, sesso adesso mentre io sono
me
stesso e tu te stessa. Siamo assieme nella gioia dell’arancia,
lì,
sotto l’ombelico del mondo, che noi chiamiamo pancia
dell’arancione
che è ancora molto fuoco, due porzioni, e un poco
di
giallo, venuto dal verde dalla crosta terrestre.Ma ricordarti che
tutto
questo
è paradiso. Il verde sarà il cuore, il giallo è il
diaframma,
l’arancione
era luna, il sesso adesso. Siamo laggiù all’inizio:
domenica
è dominio del signor sole, gravitazione al centro rosso
della
terra, radice in basso, serpente dell’origine, avvolto nell’osso
sacro,
spirale che sale appena posso. Luna, maree,
acqua,
flusso, onda, oscillazione, reciprocità, io e te, sponda
cercare
di vivere nell’ordine, non è farsi chiudere in prigione,
ma
cullarsi nelle onde sapendo come non ti travolgano, ti cullino e ti
lancino.
L’ordine
è un ritmo, una danza, un riconoscersi al posto giusto nella
simmetria
della
tua natura, nella rotazione, nello scivolare, nell’avvitarsi della
galassia.
Lascia
che sia la galassia a darti il tuo posto, quello giusto, che il tuo
cuore
sospira,
battendo come un dono, da quando la coscienza ti ha detto ci sono.
Il
tuo corpo, ma perfino da prima, ti costruiva un funzionamento
perfetto
è
nell’adempimento di un ordine di cose meravigliose
la
tua natura, che dura. E viene assieme a quella degli altri.
Ed
è proprio tua, ma assieme a loro, fa una pianura.
Martedì
è lotta, dietro lo scudo dell’ombelico, digestione e giustizia.
Dienstag, amore mio, al tuo servizio, martedì, non puttana,
settimana
santa,
se nasconde quanta, non sai, saggezza! Il mercoledì Mercurio
coi
piedi d’aria, giovedì Giove in prove di desiderio per Venere
a
cosa conduce la luce se era la prima già nella Genesi?
L’acqua
sopra e sotto per le maree alla luna, il lunedì.
La
terra contesa da germoglio e groviglio di piante il martedì.
Il
messaggio che il tempo è scandito dal cielo e dai battiti del
cuore.
Pesci
in ascolto e uccelli in canto rimisero in moto il desiderio.
Tra
gli animali l’uomo era quello da andare oltre il contrasto,
e
che se il sette è una sedia, ci si poteva sedere e ringraziare
Vitale
è il virus che ci fa fermare LA DOMENICA a meditare sulla coscienza
il sole: Sonntag, Sunday. Nella situazione più orribile non sei mai
sola anima mia, il sole è di ritorno e così il giorno e la salute
che non si sottrae a questo principio, questo saluto, salute, invito
del ritorno
Vitale
è il virus che ci fa fermare IL LUNEDì con la luna a gustare la tua
fortuna, la donna in noi, il due, la marea, la dea dell’incontro tra
la terra e il mare, l’identità, non capisci chi sei se non con
l’altro, il due, non temere il lunedì lunatico come la malattia: se
ne va via, è flusso
Vitale
è il virus che ci fa fermare IL MARTEDI’ con Marte nella lotta
interiore: l’atto creatore di essere solo karma, causa di bene, io
scelgo cosa causo, la mia reazione non è a catena, è libera scelta,
perché ogni azione è causa di un effetto e io lo scelgo, netto, il
bene. Decido io e il virus si affloscia, è una sfida virile, chi
comanda in questo virgulto, sussulto: e la donna dice sono uomo
anch’io, decido io (come l’uomo è donna quando dona)
Vitale
è il virus che ci fa fermare IL MERCOLEDI’ nel cuore della settimana
e il nostro, col Budda, nella via di mezzo: l’ascesa, l’immunità che
sale. L’immunità è dentro e dentro vuol dire in mezzo, e lì non si
cede, lì nel mezzo si ammazza il virus, l’invincibilità è al
centro, lì dentro: il cuore
Vitale
è il virus che ci fa fermare IL GIOVEDI’ a giocare con la fretta del
desiderio la saetta, ma limpida dall’Olimpo cala la calma, chi la
dura la vince nella lotta al virus, il nostro desiderio però
prenderlo sul serio e radicarlo in tutto il mondo, questo è il
comando di Giove o chiunque sia chi decide quando piove, non solo per
noi: il desiderio deve essere universale per imporsi sopra il
male
Vitale
è il virus che ci fa fermare IL VENERDI’ con Venere, stella del
mattino e della sera, a contemplare gli opposti, la sfida vera: il
medico morto il paziente risorto, Gesù sei tu nel seme che risorge,
la morte non esiste, Venere, la bellezza eterna, dice vieni nel
passaggio e passa oltre, vinci il virus della paura e della morte,
vieni dice Venere: oltre. Gesù sei tu (la Venere è la
Maddalena)
Vitale
è il virus che ci fa fermare IL SABATO nel tempo del riposo,
Saturday: Saturno il tempo delle messi, a rovesciare debito in
condono, la schiavitù in padrone al servizio, il vizio in virtù, il
virus in vaccino, divino il capovolgimento della ruota sul perno
eterno. E la coscienza è il perno nella zeta dell’inizio. Grazie. E
il virus non potrebbe essere niente se non un virgulto di vita, (in
un sussulto, ditemi di sì. Fermiamoci qui.)
Il
Corona Virus bastona e risuona nel primo principio che TUTTO E’
POSSIBILE, nel male e nel bene, che facciamo assieme: anche, tutto è
possibile, una opportunità nella calamità
Il
Corona Virus tuona il principio della RECIPROCITA’: tu sei l’altro,
il piacere tuo è il mio, flusso, scambio, onda. L’identità è
scavalcare i confini: noi e gli altri, capisci te stesso nell’altro,
lo specchio, non chiudersi, il respiro, il dentro e il fuori, solo
dentro o solo fuori è il blocco, la morte
Il
Corona Virus incorona il principio di CAUSA ED EFFETTO: che l’unica
guerra è quella interiore, nel decidere che io sono la causa non
l’effetto, soggetto non oggetto, l’oggetto non può fare niente è
passivo, è il soggetto attivo, la libertà, io creo, dio creatore
sono io se sono nella causa. Ed ogni azione è una causa, ogni azione
ha un effetto. Lamentarsi è annientarsi, il lamento è distendersi
sul pavimento e morire
Il
Corona Virus dona il cuore al centro, l’insegnamento: IL MINORE
SFORZO, la massima facilità è seguire la natura, la via sicura,
ascoltare il cuore profondo, batte: le ciabatte della vita, quello è
il passo e il passaggio
Il
Corona Virus ti sprona a SEGUIRE IL DESIDERIO sul serio, fin
sull’Olimpo limpido del cielo trasparente, di dirlo con la parola e
udirlo nell’ascolto. L’inciampo, la tosse, ridurla a un niente nel
gomito, gola per dire e timpano per udire liberi
Il
Corona Virus non è carogna, è Venere, Eva col pomo, viene e
risplende nella sintesi degli opposti: il pomo ha il verme, il virus,
ma il pomo è buono: tenere il desiderio NEL DISTACCO, l’opposto. Il
principio del distacco non è reprimere il desiderio. Tenerlo,
nutrirlo. La salute nella malattia, presenza nell’assenza, vicinanza
nella lontananza, separati e così uniti. Il vortice degli opposti
nel distacco: e il prossimo attacco vinceremo
Il
Corona Virus funziona e si abbandona al principio ultimo della
felicità qui ed ora, possibile solo, beati loro, a quelli che hanno
UNO SCOPO NELLA VITA, non aspettano un dopo, vivono nel presente con
vastissimo orizzonte…
QUARTO
CANTO
il
pistillo, l’ape, il polline, dillo quel che ti piacerebbe
fare:
infilarmi nel tuo cuore e fare tutto per amore. Il piacere è
il dovere
scoperto nella natura delle rose, semplice e facile.
Sisifo è zufolo
quattro,
il cuore (21
strofe= 7×3)
se
sono l’albero al centro del giardino, devo sviluppare il
tronco
diritto verso il cielo, per raccogliere sui rami i doni che
mi ami.
Perché, innanzitutto, sono albero da frutto e il mio
lavoro è qui ed ora,
dire a tutti che la linfa è vita e va in
salita leggiadra.
Qualcuno l’accusa d’essere ladra alla terra, di
impoverirla per dare al cielo,
è vero. Come è vero il contrario:
dalla pioggia la terra riceve la vita.
Ladra è la mente: peccato
e castigo, groviglio e ingarbuglio alle labbra
le mie poesie
sono mie, ma non sono mie, vengono dal sé, sono tue.
Le mie idee
sono mie, ma non sono mie, sono le fantasie dell’umanità.
Qui sta
il segreto della reciprocità, di guardare cosa capita dentro te e
attorno
e t’accorgerai che è un giro tondo da bambini. E senza
dubbio
sarebbe da cretini voler essere adulti a forza di
insulti
di accuse e colpe. Meglio il gioco di ritorno al giardino
del bambino,
all’originalità, la disponibilità, la freschezza
del “lasciate che i bambini vengano a me” ad
insegnarmi
entro nella linfa delle piante, ti sento palpitare
in tutti i fiori.
Giro nel ciclo dell’acqua. Trepido con te nel
sangue degli amanti.
Vigilo verticale nella marmotta, nel
cipresso, nelle orecchie del leprotto, nei virgulti.
Intuisci, non
accetto insulti alla vita, che è qui ed ora e infinita.
Ma il
dono, cui mi abbandono, sei tu, nuda nelle nuvole, al pozzo con
Gesù,
nel loto del Buddha, nel bocciolo a tutti i fiori, perché
sei quella con cui ti innamori
e io sento che l’innamoramento devi
metterlo al centro e annaffiarlo
fiore e albero si
assomigliano, palpitano nei petali e le foglie, dondolano nel vento,
nel sentimento orizzontale, hanno come ali.
Succhiano
dall’umidità della terra freschezza, dal cielo tepore e
carezza.
Come il raggio di sole allo zenit, sono verticali
all’asse della terra.
Se adesso uno pensasse alla schiena di
cavalla, dalla coda alla criniera,
o alla posizione eretta della
marmotta di sentinella, capirebbe quanto è bella
la vita, se,
guardandosi attorno, continuamente trova se stesso, se stessa
qui,
al quattro, si è seduto sulla sedia, solida, dalle quattro gambe,
il
principio che tutto avviene col minimo sforzo, la massima
facilità.
La felicità è a portata di mano, basta coglierla. I
saggi hanno detto:
chiedete e riceverete, bussate e vi sarà
aperto, date ed avrete. E’ danza.
Ma il segreto è la coscienza, è
l’atteggiamento, il cuore che c’è dentro.
Tutto è verde, non si
perde: torna verde, se segue la sua natura, dura.
E’ circolare
come le onde nel mare, le foglie nel bosco, le nuvole in cielo
se
vien fatto per amore…Sisifo, sudava, sbuffava, grondava fatica,
sibilava velenose bestemmie agli dei, contava sulle dita il
tempo
della condanna, in giorni, minuti, secondi, interminabili,
orribili,
irriconoscibili, nello spingere il sasso, il macigno,
se stesso, il proprio successo,
fino in cima alla montagna. Ma il
momento prima della vetta,
per vendetta degli dei, Sisifo
guadagna che il macigno, appena posato
sul cocuzzolo, per il non
dosaggio dell’ultimo sforzo, sbanda, crolla e ruzzola
lungo
l’altro pendio fino al fondo, con un tonfo, che gli sfonda il cuore,
lacera i visceri. E viscido di livore, lamento macinato in
tormento,
riprende a rotolarlo, a spingerlo in su, all’infinito,
in un eterno inferno.
D’estate un eterno fuoco. D’inverno un
blocco di ghiaccio, col rischio
che scivoli… Se non ne esci…
ma riesci? Concepisci una via d’uscita
alla fatica, alla
condanna, alla punizione, al monopolio dell’eterno, agli dei?
E se
gli dei divennero pianeti e poi giorni, possibile che io te e
tutti
si ritorni al dio, alla dea, come idea nostra, contorta?
O che tutto
invece sia amore e vita? E la coscienza nostra, la
ruota che l’anima?
Sì, Sisifo, è uno schifo che gli dei abbiano
manipolato ogni tentativo
tuo di fuggire verso l’alto, portandoti
dietro il tuo popolo. Sisifo,
re, qui c’è il segreto e le chiavi,
per liberare un popolo di schiavi:
salire. Qui, il massimo
pericolo per il potere dei preti e della religione
che lega.
Nessuna sorpresa che gli dei si siano sentiti assediati
e
abbiano tentato la condanna. Non crederci. Il sudore non è una
condanna. E’ manna di purificazione, pulisce il corpo, lo tiene vivo.
E tu
non sei un omino, chino a spingere, prono agli dei, sei un
gigante.
La tua fede sposta le montagne. Con l’agilità e la
forza della formica, sollevi
il mondo. Solo datemi un punto di
appoggio, la coscienza, e tutto
si innalza. E’ mia la leva che
tutto solleva. Facilità e leggerezza.
La certezza è seguire,
interpretare, scoprire e realizzare la propria natura
è’ la
natura del sole sorgere, salire allo zenit e scendere ogni giorno.
E’
la sua felicità splendere e dare luce e calore, il suo senso.
E
tornare ogni giorno non è una condanna. Il suo ritorno è gioco e
danza.
Sisifo, tu sei l’albero della vita, zufolo e flauto, non
folle ed incauto.
Dalle radici tu impartisci alla linfa la spinta
fino all’ultima foglia lassù.
Fai il prurito al cielo, con zelo,
con slancio, piacere e gioia
di ascendere e trascinare con te,
lungo i rami, il popolo tuo che chiami,
di polloni, virgulti
e sussulti, gorghi e ritorni, avvitamenti ed accumuli
di vigore e
dolcezza nei frutti. Nell’azzurro lassù, sul cocuzzolo di tutte
le
guglie della cattedrale che sei. Nel settimo cielo del tuo slancio di
linfa.
Qui trionfa la tua natura di albero della conoscenza, di
coscienza di vita.
Se poi, come il macigno del maligno disegno
degli dei di punirti, di manipolarti,
il cervello di quanto è
brutto quanto invece è bello il tuo dono
delle foglie alla terra
in autunno, come avevi già donato agli altri viventi
i tuoi
i frutti, perché tutti ne godano, dopo il riposo, non l’inferno,
dell’inverno,
la prova che è tuo dono, non imposizione, tua
scelta, tua accoglienza
del ciclo delle cose, del secondo
principio del dare, dello scambio, della natura
profonda del
tutto, nel flusso di tornare a risorgere, della ruota a spirale,
all’unità dell’uno, del ritorno all’amore, – non all’orrore
della ripetizione senza senso -,
in primavera riparti, risorgi,
fiorisci nel tuo slancio entusiasta di vita…
infinita non è la
condanna, è la ninna nanna, è la bontà della mamma. la vita.
Tu
sei lo spirito, tu il maestro, la maestra, la finestra.
Tu la
verità, se la lasci venire dal tuo cuore, la invochi.
Tu e il
tutto siete amanti, balbettate esitanti il vostro incontro.
E
allora bussa e ti sarà aperto. Sorridi e l’umanità rifiorirà.
Crea
e sarai creata. L’eterna giovinezza, la bellezza è tua.
Sarai
soggetto e oggetto contemporaneamente. Sarai vita,
passato,
futuro, presente, fede, speranza, amore. Ho l’orgasmo.
Dillo a
Sisifo, Eva, che hanno fatto di te la stessa cosa,
spina la rosa,
raccontata la storia rovesciata anche con lei, gli dei.
Demoni, i
limoni. Il libro sacro, massacro di coscienze. Siamo vigili.
Nel
giorno del sole, già il primo giorno della settimana,
subito dopo
la creazione, per fermarla, hanno raccontato di Eva puttana.
Eva
la vita, causa di morte e condanna, punizione e castigo.
C’è un
solo modo con cui disbrigo la cosa e decido se
la rosa è rosa
o spina, Sisifo filosofo o rovina, io
dio o demone: faccio girare
la ruota. La ruota è meditazione.
Non si può fare senza la
coscienza. Lì è il potere, la conoscenza
del bene e del male. E
decido io, non dio, se il pomo che Eva
ha dato ad Adamo il suo
uomo, è buono o peccato, se il peccato esiste
o qualcuno l’ha
inventato e perché, se la vita è gioia o condanna.
E allora
anche Eva accusata di aver dato ad Adamo il suo nome: “ti
amo”
la metà della mela per il morso al corpo in due, le
tue natiche,
senza rimorso… Tu mordi le mie, io mordo le tue,
siamo in due.
Eva è redenta, la fiamma dell’amore non spenta.
Decido io
se è facile o difficile vivere. Nel cuore al centro
del corpo o sei morto.
Questa volta apri la porta al quarto
principio che tutto è facile,
se segui il cuore, se stai al
centro della tua pura natura,
dove la ruota gira nella coscienza,
dove la creazione continua
è la vita che ti spinge all’alto,
Sisifo. La vita all’albero, Eva.
Non ti incatena, ti sorregge la
schiena. non è una fatica il tuo sforzo.
E’ lo sconto da pagare
alla salita, il mettere un passo dietro l’altro.
Nient’altro. E’
una danza, un’infiorescenza l’esistenza, il tuo progredire
alla
cima con la leggerezza, la destrezza di una formica, andando di
traverso
magari per rendere il percorso più facile ed efficace.
E se mi piace ringraziare,
ringrazio. La vita è gioia, grazia,
bellezza, non atrocità e strazio
l’uno è il principio
dell’unità e che tutto è possibile e che tu sia l’unico
contatto
con l’universo. Il due è il dono della danza del ventre come
principio
di scambio. Il tre è il principio della lotta per la
scelta d’essere causa
non effetto in tutto. Il quattro è il
principio della facilità, del conforto d’essere
se stessi. Il
cinque è il principio del desiderio, della direzione, del dirlo.
Il
sei è il principio della calma, del distacco, del balzo dall’ego al
sé,
al centro degli opposti, per far girar la ruota al sette,
all’oltre, al tutto
dove si incontrano il respiro e i battiti
del cuore è il centro dell’amore.
Se sono dono d’amore capisco il
cuore che continua a battere,
non conta i suoi battiti, continua a
dare prova di se stesso.
Frenetica la formica all’impossibile ma
con quanta leggerezza mica fa fatica.
Un albero è un albero
cresce, facile. Non si chiede come riesce.
Un fiume è fiume
scorre, il sole è sole scalda, una stella
è una stella è bella.
e io sono chi sono, un uomo, sono dono
il cuore è cuore
batte, non si sfalda, s’imbatte in qualcuno e gli piace,
forse
accelera, ma poi trova la pace e continua la sua natura a tamburo
.
La coscienza è cosciente sente, la pioggia è pioggia e goccia.
Se tutto
è quello che è, è facile essere se stessi. La
felicità
è la facilità di essere, di tessere la propria
esistenza. E allora
la domanda che comanda la tua felicità è chi
sei.
Rallenta, pensa, in fondo alla tua coscienza, il vortice è
amore
tra
i quattro angoli, tu ti senti difesa dalla rosa dei venti, a
casa,
non ti spaventi, al centro del corpo. Come il verde sulla
crosta terrestre
la vita si ripara dal fuoco eccessivo del nucleo,
dal freddo dell’alta
atmosfera, non si perde. Al centro della
settimana è Mercurio, il cuore.
E’ aria il messaggero degli dei,
il respiro è facile. E’ al centro e lì
mi addormento
tranquillo. Dillo che al centro di te stesso è la pace.
Quanto è
bello ci sia il riflesso del cuore al culmine del cervello
QUINTO CANTO
la
costola porta alla gola, la parola, il desiderio, la guida, la
freccia,
il
raggio di sole, la passione, la rotta, la corda tesa, la
comunicazione
l’attesa
ed il viaggio, il sasso lanciato nell’acqua ed i centri concentrici
cinque, la gola
dillo,
con i tuoi tacchi a spillo, che vuoi che ti ami, a partire dai
calcagni
e
poi mi fermi a disinibire il nostro brindisi, indugiando nelle
coppe!
Ma
il destino finale, amore, è, passando dal cuore, annidarsi dalla
nuca
fin
sotto ai capelli, da dove discendono i pensieri più belli.
Ed
i nostri goccioleranno d’amore, che gli uccelli verranno a
sguazzarvisi,
a
giocare nelle pozzanghere nostre, tutt’attorno, tutto il giorno.
E
la gioia piena è non finire di incanalarsi nel percorso lungo la
schiena
sto
in silenzio, in ascolto, nascosto dentro la mia canna.
Sbando
col cuore, a destra e a sinistra, ma batto, cercando la
calma.
Concentro
la mente al centro, leggero come il sibilo al flauto.
Incauto
sarebbe distrarmi da te, da chi amo, dall’umanità.
Io
cerco la felicità mia e di tutti, ma so che sarà dove ho
detto:
dove
metto la vita, che è dono, in abbandono al contatto col
tutto.
L’airone
io sono, nel cuneo al volo. Ora vieni a darmi il cambio
quale musica scorre nel flauto del
cantico dei cantici? Quale
fiume sfuma all’orizzonte, se tu sei
il mio desiderio continuo?
Quale discorso rotola oltre tra i
ciottoli, nello scrosciare del ruscello?
Quale profumo esala dai
fiori e spazzola i cespugli, condiziona
il sottobosco, mi entra
nei pensieri e li innalza al bello della tua presenza?
Chi sei tu,
desiderio, che rizzi ogni singola canna del canneto,
mentre io
ripeto nel respiro: fa di me, per te, una canna che non inganna
il
principio del desiderio è l’unica cosa da prendere sul serio, non
irriderlo!
E’
il motore della coscienza, il vigore di un’esistenza, la sussistenza
del tutto.
Chi
ti dice “scendi dalle nuvole, la vita non è sogno”, ha bisogno
lui
dello
psichiatra, latra cinismo. Idolatra la paura, è carceriere
cancerogeno.
Ti
imprigiona e butta via le chiavi. E’ putrido potere
mangia-schiavi.
Dicevano
gli antichi: lascia che il desiderio indichi quale sarà
la
tua volontà, la tua azione, ed essa punterà alla foce, il tuo
destino
l’arrampicante
è un vegetale che, mentre è incerto tra est e ovest, sale.
Così
è il desiderio in noi, da prendere sul serio, sa che è in su
che
deve andare. Si guarda attorno: un appiglio qualsiasi vale.
Ma la
spinta non molla. Sa che in cima avrà una corolla e anche
altre
già prima, a confermare la sua natura, la sua bellezza che dura.
Perché sa che ha mille esempi di sé attorno. E questo
è
prova che campanula, zucchino, o cetriolo, il tuo desiderio non è
solo
lo
sbandare a destra e a sinistra del rampicante, dell’amante che vuol
tenere
e sa che deve, proprio per tenere, lasciare andare,
rispettare
il suo
due. Dargli il tempo di tornare a sorridere, a ridire parole
d’amore. Sa che il cuore è battiti. Uno due, uno due, uno due:
mie e tue le redini per tenere il cavallo dell’amore nella corsa,
nella via
verso casa. E non è una morsa la direzione, è una
scelta fatta in due.
Il desiderio sul serio dimostra che le cose e
gli amanti si chiamano, si amano
tutte le cose parlano di
tutte le altre cose, è evidente.
Tutto si assomiglia e piglia
quella dimensione profonda dell’onda,
dello specchio, della
simmetria, della vibrazione, del raggio del sole,
dell’unità del
tutto“in tutto è amore”, del contatto del tu col tutto.
Per
cui io sono tuo e tu sei mia, causa ed effetto. E il mio affetto
per
te non lo metto nel cassetto, ma alla finestra, perché dimostra
che
è paradigma di ogni rapporto: me lo porto in qualsiasi cosa io
tocchi
guarda che su questo sfondo, io ti inondo di gioia. Il
desiderio è freccia
e ti colpirà in mezzo agli occhi. Ti
scioglierà il viso in sorriso. E’ scoccata
dalla tensione
dell’arco. Percorrerà in un attimo, un battito d’occhio, il
tragitto
tra la corda tesa e il bersaglio. Ma non sbaglio se, col
saggio, ti ricordo
che la felicità non è nell’arrivo, ma nella
corda tesa, nella freccia,
nel viaggio tra desiderio e suo
destino. La felicità è qui ed ora, nel percorso.
Il mantenere il
distacco emotivo facilita l’arrivo, la sorprendente precisione
è
l’intenzione lanciata dall’attenzione: la concentrazione affina e
facilita.
Per lanciare la freccia, niente fretta, polso fermo,
occhio
immobile, mente calma. Prendi la mira e scocca il
compimento.
Così capisci quanto è forte la canna, col suo vuoto
dentro.
Non spavento, ma musica e canto della vita, che si avvita
circolare.
E la forza della canna è invincibile. E’ buon
materiale da costruzione.
Vuoto e pieno. Centro e circonferenza.
Desiderio e distacco. E si compie
lo
zampillo dice: dillo dell’esultanza, durata, spontaneità
nella
mia sorgente. Dillo della mia eleganza nel lanciare un
tragitto,
diritto
al cielo. Dell’indulgenza con cui mi lascio spezzare, per
poi
subito
tornare ad essere me stesso, lo zampillo. Dillo adesso
ch’io
sono il desiderio e vinco sempre. Perché tu mi desideri, tu,
la
sorgente, la mia spinta, la mia origine, al centro della mia
mente.
Naturalmente,
lo zampillo diventa cascata, e la speranza si è realizzata
adesso
che ci sei, sei arrivato a casa tua , il cuore,
incomincia
a capire che col desiderio comandi il mondo. Dicevano
i
saggi, come raggi del sole: sei tu, è la coscienza il centro,
Giove,
Thor, Zeus, dio creatore, il padre, la saetta,
il
pianeta più grosso, la vetta del monte, il perno. Ma tutto
passa
dalla gola, nella tua parola, la politica, la diplomazia, la
comunicazione.
La
rete, la ragnatela, la spola, il tessuto. Penelope sei tu, il
ragno
il cuore diventa il
centro dei centri concentrici, la ripetizione all’infinito
dell’amore che pervade e invade l’universo, lo manifesta. E così
colma
e compie il cosmo, che si apre alla chiglia della
coscienza, nella continua creazione.
Il male è l’assenza, la
carenza di questo fenomeno, è la non-sostanza.
E’ il desiderio il
motore di questo solcare il mare con la scia, aprire le onde,
creare
sponde, luce che si lancia nella notte e illumina il cielo a
giorno.
Se Giove è giovedì e l’Olimpo è limpido, Eros era
all’origine
e allora
facciamo il punto nel tu, la tua coscienza, l’io.
il dio della
continua creazione, che tesse con l’universo tutto. Se tu
sei
goccia di quel mare, cellula di quel corpo, fibra di quel
tessuto,
tinta di quel tramonto, manifestazione di quella gioia,
di quell’amore,
basta una vibrazione del cuore, un tuo desiderio,
perché il cosmo lo accolga,
lo assorba. Meglio di quanto tu
stesso ti immagini. E ti risponda nell’onda
di tutte le cose che
accadono attorno a te, di riflesso: è il dono del sì
e sarà
tanto più facile il galoppo verso il compimento, quanto
più
leggera tieni la redine: lasci all’universo, alla creazione, alla
vita,
il tempo, il come, il quando. Ma il sì è assicurato. La
fede sposta le montagne,
perché le montagne sono l’effetto. E’ la
coscienza la causa. Noi siamo
parte della coscienza che crea e
corona di successo la corolla del fiore,
che non molla. Solo
dondola il suo colore, il suo desiderio. Già lo offre
con grazia,
già ringrazia. Già lo vede nella felicità che gli dà il desiderio
acceso
essendo dono divino, il desiderio, devi darlo non è tarlo.
Nel
desiderio è la felicità, nella spirale che sale, dove il pensiero
si incontra con l’agire: quando sei felice prima di arrivare,
prima
di partire, nella coscienza del fiore che sa si sta per
aprire, crede
nell’arcobaleno, nel cielo, nel proprio corpo, nella
canna, nell’acqua.
Amore
rosso, te arancione, gli altri giallo, gioia
il verde, desiderio
azzurro, poi viola, beato il bianco, non si perde
Il
desiderio cresce e riesce ad avvitarsi alla vita. Ed è così
che
sono qui, ricco nel ricciolo di giocare con te ad avvinghiarsi,
a
non lasciarsi. Se
vuoi che io ti tocchi e ti abbia, oltre le labbra:
gli
occhi e l’anima. E quando mi avrai in mezzo ai seni, dirai vieni.
Il passato è
stato ed è tutto qui. Il futuro è sicuro di essere
già qui. E’
ora, nel presente, dove l’intenzione con l’attenzione
si radica
cresce e riesce ad avvitarsi alla vita, ora e qui
è nel
presente che tutto avviene. Qui è il campo magnetico, estatico
che
crea tutte le cose. E la mia attenzione, non distratta, vi semina
il
desiderio, l’intenzione. E la coscienza universale con me, in
me,
attorno e attraverso me, crea, in creazione continua, la danza
della realizzazione. Cosa
dici, incominciamo con le radici ad intrecciarci
o
scendo con il sole a baciarti tutti i boccioli, a sfiorarti la pelle
delle foglie alle tue voglie? Sei tu, l’umanità, la felicità,
il mio desiderio
ora, però, faccio la lista, di cosa farò,
senza affanno.
O faccio più danno che altro, non mi oppongo al
presente. Mi vi appoggio per il balzo,
con cui ogni momento mi
innalzo alla meta, che è già qua. Perché
io sono questo, tu
sei questo, tutto è questo e questo è tutto quel che esiste,
dicevano gli antichi.
E lascio che l’universo indichi la strada
all’intenzione, vada come vada,
io ringrazio depongo il mio cesto
davanti al silenzio, alla meditazione, alla notte,
nella calma che
la palma mi offra i suoi datteri nel fruscio del risveglio,
dell’intuizione
dell’azione
che seguirà la sua strada fino al destino mio, che è divino come il
tuo.
Al cinque del corpo che sale, alla gola, nella voce, mi hai
dato la parola:
intenzione,
direzione, desiderio, il comando interiore, la spinta ulteriore.
E
la godo, l’adoro, la scavo, la trovo. Mi addormento e risorgo con
lei.
Sono
l’eremita in cima alla salita dell’albero e la formica nel cuore
al
formicaio dai mille percorsi. Le mie azioni sono diramazioni,
ma
la mia mente è al vertice, il mio cuore ovunque. Anch’io sono colui
che sono
io ti scorro sulla pelle, come il fiume in una valle.
Poi si perde nell’amore, penetrando il mare. Ma sempre
si
ricorda quanto è bello scorrere su di te come un ruscello.
E
la sua voce sfuma: come te non c’è nessuna. La farfalla si posa
sui
petali del fiore, a dirti che la vita è bella, se mi chiami
amore.
E’ un
pezzo che dal pozzo non sgorgava il desiderio. Cupido non fare lo
stupido.
E’ una cosa seria il desiderio. E’ il fiume che ti porta
alla foce, conosce la tua voce
l’uno
è in piedi. Il due si dimena, è donna. Il tre io e te,
due mezze
mele si rincorrono verso l’alto. Il quattro è una sedia,
ci
sediamo, nell’incontro ci confortiamo. Il cinque fusi in un cerchio
con la valvola
del desiderio aperta, il fischio. Col sei, sei
bolla, con sfiato in su,
nella compressione della contraddizione.
Il sette come una zeta ed il grande inizio.
L’otto
è l’eterno, siamo già immortali, io e te nel sé.
Ma il cinque
era il cinque, dove chiunque sente il canto della tortora, ovunque
SESTO CANTO
lo
so, sai, che sei Venere, vieni. Ti venero nel distacco.
Ti
tocco solo col desiderio. Faccio sul serio, so di cosa hai
le
chiavi. Ti concedi a chi condona il debito, a chi libera gli
schiavi
sei,
tra gli occhi
la
potatura fa la pianta più sicura del frutto. Così la spina per la
rosa.
Prima il duello poi la sposa. E’ legge di natura che il
desiderio
sia soddisfatto dopo il distacco. C’è senso negli
opposti che sono due
per dirti: per il tre, fatti avanti,
avvinghiati alle responsabilità tue.
Anche
Venere, se la vuoi, la devi volere la sera e la mattina.
Il
tempo è il miglior momento. Dal passato il presente, qui ed ora, il
futuro.
Il silenzio, il distacco, il digiuno, l’attesa, l’ascolto
sono soglia alla gioia
col distacco il tuo abbraccio si allarga, eppure mi
stringe. E’ pulsazione cosmica
e mi spinge di nuovo da te, che ci
sfiora e ti tocco. Venere
è la stella
prima della notte e prima del giorno. Ci insegna il
distacco. Col tacco
ti preme sul cuore, gli dà il tocco che
batta. Poi ti dà il calcagno,
che tu possa avvinghiarti a lei,
salendo al corpo, sussurrando: ti amo.
Dietro l’ego, ti spiego,
c’è luce, conforto, bellezza che non sfiora.
C’è l’orto della
primavera. Se sleghi l’ego, che è una salciccia, Venere
si
slaccia la camicia e ti abbraccia. Dieci
sono le dita, la vita.
Ma tre e sette è l’avvitamento. Quello,
che è dentro, è uno
al centro. Il percorso a spirale, tra
passato e futuro, il presente che sale.
Tra intenzione e distacco,
il
desiderio si compie. Tra
dentro e fuori, tra
te e gli altri, sboccia. Materia
e spirito. Il sopra ed il sotto
della stessa foglia, il desiderio
e il distacco, il godersi la voglia ed il tocco.
Che
io abbia le tue labbra e il penetrarsi nell’uno, ritrovandolo nella
sete del sette
e
il primo era l’inizio. Il due io e te. Il tre il sé in tutti.
Il
quattro il cuore, l’affetto, la fiamma. Il quinto la spinta del
desiderio
al cielo. Il sesto la pausa che flette i muscoli al
balzo, al sette:
l’arcobaleno pieno, che lecca il culo all’anima.
Ho detto al rosso
saltami addosso. Lui si è mescolato al centro
del mio giallo
e
nell’arancione della passione a spingere nel pistone per salire al
verde, al cuore
della foresta che palpita. Così resta da
arrampicarsi all’azzurro del cielo,
che
è vero, mescolato al mio giallo, spiega il verde del cuore,
il
conforto, l’amore, l’orto del mio spirito, la fiamma. L’anima sarà
al prossimo balzo, dal viola al bianco, che ha assunto nel
distacco tutti
i colori. E sembra vuoto, ma è l’ultimo attracco,
l’ultimo scatto,
finale, al tutto. Come dall’interno dell’inverno
entra la primavera.
E sulla testa la cresta. La festa dei mille
fiori, colori, amori. Tutto.
Ma non devi temere gli opposti. Vita
e morte, li assorbi danzando
da
ogni cosa emerge la cosa negativa, la mancanza, l’insufficienza.
Allora deve iniziare la danza, perché la ruota giri, e i
sospiri,
che soffiano leggeri, perché si avveri che, dal colmo
del tuo seno, arrivi
il pieno. E la ruota è flusso, il male è
blocco, il bene viene.
La spirale, per questo la ruota vale, si
alza ed incalza la coscienza.
Non puoi fare senza la ruota, il
flusso. La giostra mostra che tutto
ritorna. E se ringrazi
l’insegnamento della mancanza, si riempie di grazia la stanza
sei
tu che crei, che superi la distanza. E’ la tua coscienza il
centro
della circonferenza, il perno eterno, su cui gira la
storia. Tieni le redini
e la frusta leggera e i raggi in pugno. La
cavalla galoppa circolare
al circo, come il sole attorno alla
terra, o la terra attorno al sole.
Tutto è reciproco. E prendi
il punto di vista che ti tiene in pista,
ma guarda l’opposto per
tenere l’equilibrio. Così siamo arrivati alla destra
del corpo,
il futuro, e alla sinistra, il passato. E tu stai di fronte, in
mezzo
in mezzo alla fronte, agli occhi di Nirmala, il sesto
senso. Il tuo.
Sei tu il sei. E’ sinuoso e sensuale il sei. E’
carezza, l’opposto
di corazza. Ma il loro posto è uno difronte
all’altro. La bellezza
è simmetria, armonia, equilibrio perfetto.
Mi metto dove la mia
natura mi chiama, in mezzo ai tuoi seni, al
corpo di chi mi ama.
E il coraggio di accettare gli opposti
discende e mi prende come
goccia di miele che cola dalla fronte
alla gola, alle labbra inferiori
è chi assapora il valore del
tutto, che è disposto a tutto. E tutto
rinnova, mentre a tutto
rinuncia, sembra, ma rilancia, ed ha il frutto.
Venere, vieni. Nel
distacco ti tocco. Il sei sei tu, sei Gesù.
Seme che è passato
e futuro assieme. Pianta, fiore e frutto.
Attraversando la morte
dimostra, vita di qua e di là della porta.
Vita e morte. Venere
dice, vieni. Gesù spalanca le porte. E la sintesi
è l’oltre.
Vita ancora più forte. Bellezza e certezza d’amore per sempre
Gesù
è stato ucciso dall’impero e dalla religione e dalla pubblica
opinione.
Ma
questo non ha impedito che poi sia risorto e mai morto, palpiti in
chiunque,
dica
Gesù sei tu, e dio sono anch’io, se figlio, se foglia.
Ogni
primavera torna, ogni cosa al sole si risveglia e riparte.
Gesù
è il seme, la vita, la linfa, la spinta, il sole, il raggio,
la
luce. E tutto ritorna come la parola, il pargolo, la popolazione
il
figlio, la foglia, la foresta, la sorgente, il fiume, la discendenza,
la coscienza
il passato
non è passato, non mi ha tolto niente. Mi ha dato
tutto. Nel
dono del presente, ho tutto l’esistente, il futuro è già presente.
Nulla si annulla, solo si trasforma e ritorna. Il passato è
presente,
come il futuro è già presente. Nel presente la libertà
dell’esistente.
La felicità è qui ed ora. Lo si dovrebbe
insegnare a scuola, dare
con il latte della madre, scriverlo sulla
tomba, che la morte non esiste.
Tutto è possibile, la saggezza
dell’incertezza, il volo degli uccelli insiste
gli
opposti si incontrano all’incrocio del nervo ottico dietro la
fronte.
Il cielo e il mare si raggiungono. Si fondono lo zenit e
l’orizzonte. Nella risacca
onda e sponda. Tutto è inciso sulla
conchiglia, che non si stacca dalla realtà,
la riflette, con
tutti i colori del cielo ruzzolati per terra, l’increspatura del mare
scolpita sul guscio, salita dalla fluidità del riverbero solare
sulla sabbia
in movimento, a ripetere senza sgomento, che tutto
ritorna ed è eterno.
E che ognuno abbia fiducia nell’incontro e
stia fermo nella coscienza
al centro. Il cavo della
conchiglia, fragile e onnipotente, orecchio e parola
conca da cui tutto si
irradia, pronta nel sole che sorge. Raccoglie nel palmo
della
mano, la meraviglia, il dono che siamo. La coscienza della verità
del mare
che tutto è amore, armonia, simmetria, reciprocità
degli opposti che si scontrano,
si rovesciano, si raccontano, si
flettono, oscillano, si consumano, si fondono.
Goccia e roccia,
duna e nuvola, flutto, niente e tutto.
Sabbia con le impronte di
Raissa, amica con l’idea fissa della conchiglia
ho
visto la tua stella prima della notte, prima dell’alba. Venere
vieni, tu scavalchi gli opposti. Scovi l’anima, ti pianti in
mezzo agli occhi.
La
dea che cavalca il cuore, lo stringe ai fianchi. Venere mi manchi.
Vieni,
Venere, da sotto le viscere, col rullo del tamburo, eros.
Alimenta
la fiamma nel vortice del fiore, cuore, lungo l’ugola.
Sostienila
nella spina dorsale, all’assalto della mente immensa, l’anima.
Tutto viene, come Venere, a te incontro, ma devi essere pronto
te
lo ha detto Gesù, che il creatore sei tu, nell’ascolto. Dove sei
Venere?
Sono al sei, perché ti soffermi sui seni miei? Io ti
catapulto
al sette, così che tutte le gocce del tuo essere siano
strette
sul
soffitto delle stelle a me nel cosmo, dove il più alto è il più
profondo
e
l’amore sia al suo colmo. Quando Venere viene non va più.
E’
la stella che sempre brilla, è l’onda che c’è anche se si nasconde.
Sempre
appare, quando pare che tu te ne dimentichi, nel passaggio
tra
il giorno e la notte, la notte e il giorno, pronta a un ritorno di
fiamma.
Venere,
vieni, siedi con me sulla sponda. Lo so, tu sei onda.
Qui,
è il tempo dei cinque nostri sensi . Lo so dai tuoi capelli
come
sono belli i tuoi sguardi, le tue carezze, le tue curve. Sull’altra
sponda
c’è
il sempre, bellissima. Fiume Venere, vieni fino oltre l’oceano.
Due
occhi, due labbra, due seni, mi alleni all’inizio e alla fine.
A
cavallo dei giorni e delle notti ti cavalco
nell’attesa,
nella sorpresa del senso
tu
sei il mio passato e il mio futuro. Tu in su, pressione passione.
Mi
avvolgi, mi proteggi, mi spingi, mi sorreggi. Nel presente mi
chiami.
Tu
sei l’universo, non diverso da me, sono uno con te, mi ami.
Tu
conosci me, meglio di me stesso, conosci il desiderio del mio
cuore.
Lo
affido a te, nell’abbraccio del distacco, ma non mi stacco da
te.
Crescerà
come un fiore, come un frutto, si realizzerà in tutto
e
oltre, perché io e te siamo uno e tutto, ben oltre la morte
tu
butti il sasso nell’acqua, esponi il tuo desiderio.
Ne
parli alle stelle, lo ripeti alle foglie e tutte le cose
belle
attorno
a te, tutte le voglie degli altri viventi, perché
tutto
è vivo, come un grande respiro, concorrerà al compimento
del
tuo desiderio. Perché tu sei cariola, la tua coscienza, quella sola,
raccoglie il contatto col tutto, reciproco. Lo sposta in avanti,
a capriola,
fino
al cerchio più largo dei cerchi concentrici attorno al tuo lancio
tutto
è venuto dal vuoto della notte, che è vero, è quella botte
delle
meraviglie, come Venere del mattino. Io il vuoto, tu il pieno. Mi
avvito al tuo corpo,
una
carezza al seno. Venere vita sei e la libertà è spiegata
dai
riccioli tuoi. Succhiano su. Ne subisco il fascino. Tu
sei la
canna di bambù, io il ciuffo aperto attorno, spalancato al giorno.
E
dentro il vuoto sibila il flauto della vita, che è fiume, via
lattea,
quando di notte il culo è il
cielo e le stelle le cose più belle
la
morte è il vuoto che si riempie, segmento della circonferenza che si
compie,
della
frequenza che non si ferma, oscilla, brilla di invidia e di
menzogna.
Si
avvita alla vita che è l’unica esistente, bellezza che si manifesta,
realtà
che resta, alba che ognuno sogna, e ritorna nella potenza
dell’onda.
Quando
dice alla vita che sogna, è lei, la morte, che non esiste,
è
lei la menzogna. Ed accusa. Non c’è scusa alla morte. E’ come
dicesse
non c’è un oltre. Ma è lei la finzione, la vergogna.
L’oltre vince la morte
tra
il bene e il male scelgo la spirale. A
me sembra che la zebra abbia
nella conciliazione degli opposti la
sua spiegazione. La zebra è in prigione?
No, è elegante flusso
tra la terra e il cielo, ondeggiante nel calore
africano. Sfugge
alla mano, ma accarezza la mente. Mi abbandono al nulla
e sono
culla. Gli opposti scatenano l’uragano. Con l’amore, lo
attraversiamo
piano. All’ultimo scalino divino c’è l’incontro
degli opposti, Venere
a dire non temere di tenere le redini, me
ai reni. Vieni
SETTIMO CANTO
le
fontanelle sono le più belle esperienze del tuo corpo,
della tua
pelle. Sono quelle aperture nel tuo cranio
attraverso le quali
dalle stelle, il cosmo, è scesa la divinità in te
sette, le
fontanelle
il colmo della
realizzazione del sé è che tu torni al tutto in su,
come Gesù,
come Anastasia, che è risveglio e risurrezione. Dal pistone
che
si appoggia laggiù, nella curva della coda, nel covo divino,
dove
si era, all’inizio della tua vita da neonato, annidato il tuo
sole
vitale, chiamato a salire a spirale nella meditazione,
nell’azione
responsabile, pulsante da anello in anello, a catena nella
schiena,
dall’eros dell’origine al culmine della felicità, che tu
sei tutto nell’uno
non mi immolo quando divento immobile. Non
mi anniento
quando non penso a niente. Non mi suicido, se decido
il silenzio.
E’ il mio modo lento di andare dentro, al centro, per
essere
nella danza del movimento, del seme, del frutto, di tutto,
nell’unica musica
dell’armonia. Non è che io sia in fuga. La mia
foga e il mio furore
sono l’amore. Ma viene da dentro, dal centro,
dal cuore. La mente
è dove si sente nel silenzio la parola,
quella sola, se taci. I tuoi baci
respiro lentamente e
continuo accarezzandoti la schiena su e giù.
Da una natica alla
cima dei capelli, discendi all’altra natica. Anche tu,
da una
narice mi sali calda al cervello, mi discendi fresca dall’altra.
Un
zig zag di catena di montagne, che diventa ormai fuga di colline.
E’
vibrazione il respiro, la carezza, l’orizzonte. Ci troviamo
nuovamente
di fronte, all’unità del tutto. E sarebbe sciocco non
coglierne il frutto.
É il flusso che ha concepito il creato. E
tutto quello che esiste continua
quando sei fermo, sei eterno e non perdi niente.
Perché
sei perno al tutto, rotondità al frutto, flusso.
In equilibrio
perfetto tra quanto hai goduto e quanto godrai, lo sai.
E allora
lavora, qui e ora, nella serenità della gioia. Scava,
tieni
eretto il diritto di salire al tetto della coscienza
universale.
Agile, leggera e facile la mano sul timone della
scelta tra bene
e male. E vedrai, in te e attorno a te, fioritura
che dura, come mai?
libero
la canna, dal ricciolo della coda, lungo la colonna, al colmo del
cervello.
Perché
è bello che io senta l’anima a stantuffo dare il respiro al cuore.
E
che il rettile che ero possa tirar dritto, dopo lo sbandamento
laterale, la vibrazione a spirale,
teso
come una corda al cuore del problema. La realizzazione di sé e della
realtà,
che
il sé con sé trascina, questo è il compito che affascina e
trascende la mia coscienza.
Vincere
l’incoscienza mia e del mondo verso il livello superiore,
dove
tutto è più bello, e tutti danzano nell’ebbrezza d’armonia e amore
l’eden,
il paradiso, il senso delle cose, sono la stessa cosa.
Se
stesso, se stessa, la felicità, l’assoluto, la completezza.
Senti
il ritmo del sette, come quando tu apri i cassetti,
dove
li metti i sette desideri, amore, dove li metti?
Infilali
nei tuoi calzetti, sei tu, o chiamali calzini o calze,
lascia
solo che il sole o la vita ti accarezzi le gambe. E si alzi
il
desiderio che tutto sia uno, dal calcagno alla nuca di tutti o
nessuno
io
ho la scrittura compulsiva, ma è piacevole e viva. Viticcio e
ricciolo,
mi
lega alle nuvole, al movimento, a leggerezza, fantasia, libertà. E’
mia.
E
tu dove sei? Sei la matita, la margherita che ordina i petali a
raggiera,
la
scrivana che fa belle le righe nelle curve, mentre scrive e
sorride.
Che
tutta l’umanità ne risplenda, vi si specchi, possa leggere se
stessa,
in
quella scrittura che dura. Se passa di mano in mano,
piano,
depositandosi
dagli occhi sul cuore. E lì batte scrittura che poi ancora riparte
il
candelabro dalle sette braccia mi dice, che qualsiasi cosa io
faccia,
devo
stare al centro di me stesso, come un fiore, un albero, uno
zampillo.
Come
la gravitazione ti porta all’uno, al centro della terra,
nessuno
dimentichi
che lo stesso principio porta al sole, al sabato, alla domenica.
Ogni
pianeta, giorno, fa centro al sole, così tu al perno di te stesso.
E
candelabro, settimana, sistema solare girano, tirano al cuore, la
coscienza.
E
il candelabro, dalle labbra di fiamma, dice, la coscienza si nutre
d’amore
taglio
legna e la testa ai tiranni, finché basta il mio fiato.
Si
spegnerà la mia forza ed il sospiro del flauto, non il pianto di chi
invoca giustizia.
Ma sarà il loro risveglio all’energia
interiore, il terrore al dittatore.
E la gioia del sole, nel
vedere ogni goccia d’amore, ogni goccia d’acqua
tornare,
dall’oceano del tempo verso il sole. E nel ciclo dell’acqua
sarà
felicità sulla terra. Ma lo è già, per chi si è risvegliato e lo
sa.
Guarda cosa insegna, tagliar legna, mentre ringrazio
quell’albero
il cinque
è il desiderio da prendere sul serio: provalo.
Il sei è alzarsi
in volo sulle ali degli opposti, li accetti, non ti sposti.
Il
sette è affinché, davanti a tutti, siano benedette tutte le cose.
Rovesciare
la nuvola in montagna o la montagna in nuvola, è concesso
solo ai
saggi, ai rivoluzionari, ai santi. Io dico a tutti quanti,
se
cercano la realizzazione del sé, perché è sempre la stessa
regola,
dal fare l’amore col cuore. A chi bussa col bocciolo, si
aprirà il fiore
chiamatelo
erotismo, narcisismo, comunismo, eroismo, io so com’è.
Se una
ruota macina, preciso, nell’interesse comune, non è più ego è il
sé.
Il proprio diventa collettivo. L’individuale universale. Il
sole sale
e Lukashenko, in un momento, è bolla di sapone davanti
ai Bielorussi.
Putin sputa veleno dalla cerobottana del potere,
sibila menzogne.
Ammazza oppositori, ricatta. Pustola di pus lui
stesso, ha il terrore
della piazza che, da funerale in funerale,
incomincia ad imparare dov’è la puzza
ognuno ha
una missione nella vita e io cerco la mia, finché non è
finita.
Questo è il settimo principio, del sabato, del sapone,
che lava i panni
e li espone al sole. Che condona il debito,
perché ritorni il dono e lo scambio.
Che libera gli schiavi,
perché solo la libertà ha le chiavi della coscienza. Ed ognuno
è
il centro dell’universo. E tutto è uno e danza. E l’unica
circostanza che conti,
da Saturno o Crono, il tempo, a noi, è
l’uguaglianza, il diritto alla ripartenza.
Equilibrio e armonia,
ma ciascuno ha traiettoria specifica in questa scia
io
sono il polline, tu l’ape. I fiori sono i nostri amori.
La vita
si avvita e si apre. E tutto quello che faccio è
che ti
abbraccio. E tu lo sai che con me hai tutto. Io sono
il seme, tu
il frutto e viceversa. Mettitelo in testa: l’universo
si versa,
io in te, tu in me, come da una brocca, e adesso ci tocca baciarci.
E
se una goccia va persa, è miele. Sussurra dalla Siberia la
dea
Anastasia che, il calore al sole, lo dà il cuore tuo e
l’anima mia
se
tu sei l’amore, io sono il fiume che, alla foce, esalta il mare,
mentre lo penetra, sfumando la voce. E poco gli importa se in lui
si perde. Nella forma dell’onda tutto torna e riprende. Se
l’azione
è così calma e forte, da essere concentrata e
sublime, è meditazione
la meta raggiunta. Sei già oltre la
morte. E’ sul filo
sottile del fine, il confine con la
felicità, mia e di tutti.
E ciascuno alla ricerca di se stesso,
cosa faccio io, qui, adesso?
cielo di
pianura, in cui vedo nelle nuvole, che vengono a schiere,
la
cucitura dei popoli d’Europa, sotto l’unica scopa del vento,
e
come, dopo tuoni fulmini e spavento, essa porti la coscienza al
centro.
Il sereno e l’azzurro, il sorgere del sole e il tramonto,
e ad ognuno di essere
contento del suo destino, fino ai colori del
cielo e il lavoro del vento,
come scopa, e scopo di pace e
democrazia. Che ognuno si renda conto che è lui
quel fiore, per
cui quel cielo scorre sull’orizzonte, di ogni continente
la realtà
è già sorretta dai sette principi. Ed è questo che già
palpita
felicità perfetta dentro le cose. A noi vederne
e goderne la
manifestazione, nel flusso del tutto. E noi in esso.
E così
ringraziare…del principio dell’unità, per cui tutto è possibile,
se ogni cosa sa delle altre e vi risponde col principio del dono,
per cui ricevo quel che do e sono. Da cui discende il principio
di causa ed effetto, e della responsabilità che accetto, perché
ogni mio atto
sia
causa, non caso o riflesso. E perciò libertà. Qui sta il quarto
principio, del minimo sforzo. Il segreto del cuore che fa tutto
per amore,
secondo natura. E il principio del desiderio che, nel
senso a me stesso, sgorga.
E poi lascio nel distacco che
l’universo mi porga il percorso per esaudirlo, nell’armonia
del
mio destino e con quello di tutti: viva prova, definitiva,
che il
principio dello scopo della vita mia, altro non sia che
l’universo,
che si versa in me ad esaudirlo, riconoscendo in me la
propria scintilla
all’inizio
c’era la parola e non l’hanno riconosciuta, allora è
venuta
l’immagine. E con essa si è fusa in pittura fonetica. E
sono pagine e pagine
della fantasia mia, della vita mia, dalla mia
bocca alla mia costola.
Zappa nel mio corpo: perché con gli occhi
mi tocchi, la mente non mente,
non si scappa, il cavallo del
cuore galoppa, la coscia sfuma l’angoscia,
bella è la pelle, non
solo i capelli e le spalle, la pancia è misura
e bilancia, il
collo zampillo e controllo. La schiena è piena responsabilità
la
costola consola, se ti manco mi strofino sul tuo fianco. Con la mano
ti chiamo,
col braccio ti allaccio, sulle dita le cifre della
vita. Ti aggancio sulla guancia
con un bacio, sotto l’ombelico
sul fico, slaccio tutto e mi slancio, ti penetro
dalle palpebre
a palpiti. Dai seni mi dici vieni, io taccio e faccio
tutto quello
che posso, perché il tramonto sia rosso, mentre tu ti alzi
e mi
incalzi con la danza del ventre, e nel cavo dell’ascella, in
entrambe,
io abbia il mio covo in quanto sei bella. Dalle gambe
alle labbra una supplica
sulla lama affilata del coltello, è
bello infilarci la sfilata dell’arte.
Sulla corda tesa l’ascesa,
che è tutta orizzontale. Per questo vale
contemplare il mare. E
si parte, accettando l’irruenza del vulcano che ti amo,
prima
ancora che tu mi dia la mano. Ma nella calma la palma
si flette
nell’arco dell’arcobaleno, finché il cielo anche è pieno
di
gioia. E il colore è amore e fiore. Di cui la primavera riempie
la
prateria. E la nuvola è nuda e tu sei mia, mentre impari cosa sìa
e se tutto
è amore, e l’universo è vivo, non solo il mio corpo, anche
ogni
popolo… Se anche la terra è essere vivente ed ogni galassia,
lascia che io porti te con me. Perché c’è un posto, ed è il
corpo,
dove il cuore, colmo di cosmo, la mente, un mare di
scintille,
sente me con te in quell’amplesso adesso, mentre
macino
il brutto in cose belle, sulla pelle, nella mente e nel
cuore,
si riverbera nel tutto, l’amore che muove il sole e le
altre stelle