La modernità ha fretta. La felicità si ferma. Il saggio sa che è nel presente. E allora smette di correre, ma sa che è in mezzo ad una folla in corsa che rischia di travolgerlo. E allora, guardando avanti, guardando in dietro, dove e da dove veniamo e andiamo, lancia messaggi come frecce, attorno a sè, all’umanità da stadio, lancia slogan, segnali di allarme, squilli di gioia, per colpire l’attenzione della massa in movimento, il gregge che non sa, la mandria che corre. Il messaggio deve essere breve, la freccia deve essere acuta, l’immaginazione deve essere colpita, l’attenzione fermata. La pittura fonetica deve essere slogan, sintetica, in poco deve dire molto, o meglio, far intuire molto, indicare una direzione, la pittura fonetica è un segnale stradale che deve essere decodificato al volo. E poi ciascuno sceglierà la sua strada, quando ha capito che non c’è solo una direzione, c’è anche un sentiero, un percorso che altri hanno già calpestato, e molti crocevia. O la pittura fonetica è questo o non riesce a parlare al suo mondo circostante che sembra decisamente agitato e bisognoso di calma. Siamo al culmine, il calice è colmo, lunga vita alla calma. Parla all’alpinista e al perfezionista, all’alcoolista o al semplice amante del vino o all’uomo comunque già frastornato che supplica un letto, un piatto, un posto dove mi metto, un cassetto dove tranquillo aspetto che il mio amore mi trovi, ma allora dillo, dillo che sei brillo di amore. Quest’ ultima descrizione dell’uomo qualsiasi dice di quanto la fonetica possa servire nello slogan per colpire l’attenzione. Perché il nostro scopo è la freccia. E la parola è squillo, tromba, fanfara di ripetizioni brillanti, rullo di tuono e rimbombo, fruscio, addio, vorrei staccarmi da te ma non posso. Ha tutte le qualità del suono naturale. La parola è onomatopea, ha lo stesso suono della cosa che evoca. E questo è di nuovo un fulcro della pittura fonetica, che punta al passaggio fulmineo dalla parola all’immagine, nella fusione unica della cosa.
Si capisce così infine perciò che la parola è uno scoiattolo scattante che ha la coda come un pennello (oltre ad un punto di domanda). Sì la parola è un pennello e a volte basta proprio un tocco.
Alberto Sighele
dal conflitto dei tacchi la delicatezza dei tocchi
appena è nudo il nodo si scioglie
metti il mio amore in tasca
alla mia vita sbandata i tuoi seni sono paracarri
la salvezza è portare i sensi alla luce interiore
l’inganno ingoia
l’alto è tutto